Quando arrivò a Pagani aveva appena 35 anni e stava iniziando a muovere i suoi primi passi da allenatore dopo aver appeso tre anni prima gli scarpini al chiodo. Raffaele Di Napoli, "Lello" per gli amici e i suoi affetti, era stato un buon attaccante di C con un carriera disputata prevalentemente in Sicilia (Sicula Leonzio, Akragas e Giarre) ed un passaggio quasi repentino nel settore tecnico. Anche il suo primo abbraccio con la Paganese avvenne in un momento particolare nella storia del club, che due anni dopo sarebbe passato nelle mani di Raffaele Trapani. Nel 2001, la Real Paganese - denominazione societaria rimasta viva fino al 2003 - non godeva di ottima salute e i fantasmi di un fallimento erano più incombenti e lancinanti che mai. E pensare che l'anno precedente, in D, una vecchia bandiera azzurrostellata, Luigi Di Giaimo, aveva portato in sicurezza la squadra raggiungendo una salvezza tribolata e nient'affatto scontata, tanto da costare il posto a un mostro sacro come Piero Santin un paio di mesi prima del gong. L'estate successiva l'iscrizione fu perfezionata solo ai titoli di coda: venuto meno l'impegno in prima persona del patron Mimmo Lombardi (che comunque si ritagliò un ruolo di grande responsabilità in quel momento di transizione), la documentazione necessaria ai fini della partecipazione al campionato fu limata dal neonato "Comitato Pro Paganese" del quale, oltre a Carlo Avallone, nuovo presidente, si fecero promotori i colleghi e amici Peppe Nocera e Carmine Torino. Per la guida tecnica fu scelto Sasà Amato, attuale condottiero dell'Insieme Formia e all'epoca un enfant prodige della panchina reduce da un quadriennio a Sorrento durante il quale aveva portato i rossoneri dall'Eccellenza alla D fino all'ultimo capitolo del Santa Colomba di Benevento con lo spareggio salvezza vinto ai rigori contro l'Internapoli. Ad accompagnare Amato fu un giovanissimo Di Napoli in qualità di collaboratore tecnico: un tandem rampante, emergente, che tuttavia non riuscì ad impedire che la strada verso la salvezza fosse un'ennesima, faticosa corsa ad ostacoli. Defenestrato Amato a 12 giornate dal termine, la dirigenza decise di riporre tutte le sue speranze proprio su Di Napoli, che traghettò gli azzurrostellati al nono posto chiudendo la sua avventura con la trasferta persa 4-3 contro il Corigliano Schiavonea. Tutto questo mentre il duo Gaetano Battiloro-Salvatore Righi si apprestava a gestire un breve interregno, con l'approdo successivo in seno al club di Andrea Torre, prima dell'età dell'oro inaugurata da Raffaele Trapani.
Dopo 19 anni Di Napoli ritrova ancora una Paganese in estrema difficoltà, per quanto forte di una impalcatura societaria ben diversa e sicuramente più stabile. Lo fa da allenatore che si è messo finalmente in proprio, che magari sotto questo aspetto avrà un percorso fresco (appena quinquennale) ma che la fatica della gavetta sa cos'è. Dieci anni da collaboratore tecnico, prima di Salvatore Campilongo e poi di Nello Di Costanzo, Antonio Porta e Arturo Di Napoli, qualcosa gli hanno lasciato in dote. Al netto di due campionati vinti in C2 con la Cavese (nel 2006) e in D con l'Ischia (2013, oltre allo scudetto di categoria). Il 7 febbraio 2016, dopo la lunga squalifica comminata ad Arturo Di Napoli nell'affare Dirty Soccer, il debutto da primo allenatore sulla panchina del Messina, nella trasferta persa a Cosenza. Sette giorni dopo, la prima volta da avversario della Paganese, nel 2-2 del Franco Scoglio contro la squadra di Grassadonia (e di Sirignano, che ora ritroverà in azzurrostellato). Quel Messina, che Di Napoli impostò sul 4-3-3 senza stravolgere i concetti tattici del suo predecessore, chiuse la stagione al settimo posto e col diritto a partecipare alla Coppa Italia Tim. Ma il vero miracolo sarebbe accaduto con l'Akragas l'annata seguente con un gruppo verde e qualche giovane che ha potuto spiccare il volo tra cui Luca Palmiero, all'epoca ventenne come Luigi Carillo, oggi alla Casertana dopo aver assaporato l'ebbrezza della B col Brescia. Discorso a parte per Fabrizio Bramati, che dopo l'esperienza congiunta a Messina, Di Napoli volle con sé anche ad Agrigento e ora potrebbe essere rivalutato dal tecnico in un'ottica di ottimizzazione della rosa (come lo stesso Cesaretti, con lui ad Empoli e a Frosinone). Ed è stato proprio al timone dei Giganti che Di Napoli ha iniziato a sperimentare vari sistemi di gioco e il 3-5-2 con una maggiore prevalenza. Piaceva quell'Akragas per mentalità e organizzazione di gioco, la grande bellezza dei Giganti stupiva tutti, principalmente gli avversari. L'andamento difficoltoso dei biancazzurri l'anno successivo avrebbe anticipato - sussumendolo quasi in maniera immanente per tutto l'arco della stagione - il crac societario, e poco fu in grado di incidere anche Leo Criaco a cui fu affidata la guida tecnica nelle ultime gare. Ma, sarà un po' per quel destino che in un certo modo lo ha sempre legato alla Sicilia e a quel popolo, un po' per il suo lavoro tenace e ostinato, un po' per certe qualità umane endemiche, Di Napoli ad Agrigento è considerato ancora oggi un piccolo eroe.
L'avventura di Latina è storia recente. Settimo posto il primo anno, con la squadra presa in corsa in seguito all'esonero di Carmine Parlato, ed esonero la stagione seguente dopo appena un mese e mezzo. Un addio in realtà improvviso e in parte misterioso, perché qualche giorno prima il patron Antonio Terracciano gli aveva confermato la fiducia, con i nerazzurri a soli sette punti dalla vetta. "Evidentemente dovevo fare il parafulmine visto che mi sono preso carico anche di responsabilità non mie - avrebbe detto tempo dopo -. Non mi era stato chiesto di vincere il campionato, ma di essere competitivi". In questo, il trainer di Fuorigrotta non è mai stato uno che le mandava a dire, preferendo piuttosto l'asprezza di un'esternazione chiara ai tatticismi e artifizi verbali. Come è nel suo stile, affabile e genuino, e mai superbo o poco trasparente. Ora la Paganese per la missione salvezza. Un compito difficile ma non proibitivo. Purché non si perda un minuto.
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