Sono passati più di 40 anni da quel 20 febbraio del 1979, giorno della sua scomparsa, ma il mito del "Paron" Nereo Rocco resiste immarcescibile.
Nato a Trieste nel 1912 da una famiglia di origine austriaca, Rocco fu un buon calciatore di serie A, ed ebbe anche l'opportunità di disputare, nel 1934, una partita con la maglia della Nazionale Italiana.
Eroe di un calcio d'altri tempi, il tecnico triestino (che sarebbe passato alla storia come uno dei più grandi e vincenti allenatori europei) sin da quando era calciatore aveva consapevolezza che il calcio era un gioco semplice, e che non c'era bisogno di particolari alchimie tattiche per farlo diventare vincente.
Rocco sapeva che una piccola squadra di provincia, quando doveva affrontare gli squadroni era destinata a soccombere. Ed allora la sua intelligenza e la sua esperienza di ex calciatore di provincia, unitamente alla ragionevolezza ed al buon senso, che erano caratteristiche mentali che facevano parte della sua personalità, gli suggerirono di adottare tanta prudenza nelle gare cosiddette impossibili, facendo leva sul basilare concetto del "prima non prenderle", cioè: prima cercare a tutti i costi di non far segnare gli avversari.
Il suo era il calcio dei "poveretti", dei calciatori umili, che non sarebbero mai diventati dei grandi campioni, ma avevano il carattere e la determinazione, la grinta e lo spirito di sacrificio per controbattere con ardore agonistico alla tecnica sopraffina degli avversari più forti.
Nel campionato 1947- 48, la prima vera stagione da allenatore di serie A, prese la sua Triestina (che l'anno prima era arrivata ultima ma poi era stata ripescata in massima serie) e, con il suo calcio "pane e salame", portò la squadra alabardata incredibilmente fino al secondo posto finale, alle spalle soltanto del leggendario Grande Torino. Negli anni Cinquanta, approdato a Padova, seppe far risorgere una squadra che era piombata in serie B, conducendola in serie A, e portandola, successivamente, a stazionare per diversi campionati nei primissimi posti della classifica, a ridosso delle grandi squadre metropolitane.
Dopo l'esperienza alla guida della Nazionale olimpica di "Roma 1960", con gli Azzurri che si classificarono al quarto posto, il Paron, allenatore di provincia per antonomasia, approdò nella metropoli lombarda, chiamato sulla prestigiosa panchina del Milan.
Rocco ebbe l'intelligenza di non cambiare mentalità e stile di vita, portando nella grande squadra i semplici ed elementari concetti tattici proposti con le cosiddette "provinciali".
Al Paron interessava soprattutto l'aspetto umano dei calciatori, e per questo metteva la persona al centro di tutte le discussioni. Da buon padre di famiglia, sapeva trasmettere ad ogni singolo calciatore lo spirito di gruppo, cercando di tenere i suoi ragazzi tutti uniti, eliminando alla radice pericoli di liti e tensioni. Li raccoglieva tutti attorno a sè, parlandogli con atteggiamento bonario, e magari infilando in qualche discorso anche la battuta e l'ironia, sempre con la massima spontaneità e semplicità.
Al primo campionato sulla panchina dei Rossoneri, stagione 1961-62, riuscì a vincere lo scudetto. E al termine della stagione successiva, nel maggio del 1963, portò il Milan sul tetto d'Europa, facendo vincere la prima Coppa dei Campioni ad una squadra italiana (grazie anche al determinante apporto dei suoi due campionissimi: il giovanissimo Gianni Rivera e l'infallibile goleador, Josè Altafini) superando in finale il Benfica del grande Eusebio.
Quel titolo continentale fu l'affermazione definitiva, anche in campo internazionale, del credo calcistico del Paron, che si era formato nel calcio dei "poveretti" , ma con grande intelligenza era stato applicato anche ad una squadra che poteva contare su tante individualità di enorme spessore tecnico. Insomma, quel concetto di gioco del "prima non prenderle", da risorsa per i perdenti, si trasformò in arma per i vincenti.
La sua idea di gioco si rivelò incredibilmente produttiva, perchè, Rocco partiva dal presupposto che la sua formazione ideale dovesse basarsi su una sorta di colonna vertebrale, di enorme valore tecnico, che sapesse sorreggere strutturalmente tutta la squadra. Il mitico Paron, nelle serate passate a disquisire di calcio, soleva dire che per mettere su un'ottima squadra era indispensabile avere un portiere paratutto; uno stopper (oggi si direbbe centrale difensivo) di grande personalità, un "assassino" come lo definiva lui; a centrocampo un "genio" (ebbe la fortuna di avere con sè il più grande di tutti, Gianni Rivera), e in attacco un centravanti veloce e scaltro. Dopo si poteva costruire tutta la formazione intorno a questa solidissima impalcatura.
L'intuizione del mitico tecnico triestino di dare grande dignità, anzi importanza determinante alla fase difensiva (oggi si direbbe "non possesso") fu la fortuna ed il "segreto" degli straordinari successi di quel Milan, che negli anni Sessanta salì per due volte sul tetto d'Europa, e nel 1969 addirittura andò a conquistare il trono mondiale, con la Coppa Intercontinentale.
Nel preparare le partite, soprattutto le sfide decisive, Rocco si preoccupava molto del rendimento della sua difesa, e la sua prima idea era quella di bloccare, con marcature rigide, i migliori calciatori delle squadre avversarie, vedi Eusebio nella prima finale europea del 1963, e Johan Cruijff nella seconda del 1969. Aveva un incredibile senso pragmatico, perchè per lui il calcio era semplice: bloccare le fonti di gioco avversario, per poter colpire con le frecce al proprio arco.
Gli allenatori delle squadre avversarie, evidentemente invidiosi dei successi in serie che otteneva con il suo Milan, continuavano a definire il Paron un "catenacciaro", vale a dire che faceva fare alle sue squadre un gioco maggiormente volto a distruggere la proposizione avversaria.
Falso storico incredibile, perchè, giusto per dare un esempio: nella formazione rossonera tipo, vale a dire quella che in due stagioni, sul finire degli anni Sessanta, vinse tutto ciò che c'era da vincere in Italia, in Europa e nel mondo, erano titolari inamobili quattro fuoriclasse offensivi: Kurt Hamrin (ala destra), Gianni Rivera (rifinitore e mezza punta), Angelo Benedicto Sormani (cosiddetto centravanti di movimento, oppure trequartista) e Pierino Prati, punta più avanzata.
Gli strepitosi successi ottenuti, portano a pensare, a giusta ragione, che il Paron sia stato il padre del gioco all'italiana e, in ogni caso, il tecnico che con quella cultura di gioco ha esportato nel mondo un modello di calcio vincente. Con quel suo credo tattico, Nereo Rocco riuscì a vincere tutto quello che c'era da vincere in campo mondiale. Ed ancora oggi è da ritenersi tra gli allenatori europei che hanno ottenuto i maggiori successi.
A distanza di 40 anni dalla sua scomparsa, le intuizioni tattiche del mitico Paron sono sempre attuali, e vengono concettualmente riprese ed applicate a livello internazionale anche dai tecnici più famosi e maggiormente vincenti, come ad esempio. giusto per citarne solo qualcuno: Giovanni Trapattoni, Fabio Capello, Josè Mourinho e Antonio Conte.
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